Leggende del Garda

11.05.2013 22:55

Leggende del Garda di Benedetto Lenotti - Manfrini Editore

Cenni storici, miti, tradizioni, usanze, folclore.

Vieni qui dove l'onda ampia del lidio
lago tra i monti azzurreggianti palpita:
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Dolce tra i vini udir il divo sol precipita
e le pie stelle sopra noi viaggiano
e fra l'onde e le fronde l'aura mormora.

(Dall'ode " Da Desenzano" di G. Carducci)

 

 

Tavìne

Nel golfo di Salò, presso la ridente cittadina, sul braccio meridionale dell'insenatura, lungo la strda del camposanto fincheggiatada cipressi, vi è un luogo solitario denominato Tavìne.
In una bianca casupola tra il verde, la grande ruota d'un mulino gira lentamente, mossa da un ruscello, e continua a cantare la sua monotona canzone.
Si dice che un tempo, in tal luogo, tra i chiari ruscelli che lieti scendevano mormoranti verso il lago, abitasse una numerosa schiera di ninfe e di driadi; e la leggenda vuole che nelle notto silenti, ascoltando, si odano ancora i loro cori melodiosi.
Ebbene una di esse, Tavìne appunto, diede il nome a quella località.
Ecco come avvenne. Questa ninfa superava in bellezza tutte le sue compagne: era più bella della leggiadra Vile, di Madorìne, di Làgise, della vaga Melsìone, di Sàloe, della candida Sirmio e di tutte le altre.
Pallida e dolce in viso, aveva gli occhi glauchi e le trecce d'oro.
Benaco. figlio del dio del mare Nettuno e di Berenice, capitato su quella spiaggia, vide la bella Tavìne seduta presso un ruscello; e improvvisamente fu turbato da un'indomita passione d'amore per lei. Egli pensò subito di farla sua sposa; abbandonò le altre ridenti e cerulee spiagge per aggirarsi sempre nel golfo di Salò e saziare i suoi cupidi sguardi su Tavìne, tutto dimenticando, perfino lo scettro regale di signore del lago, che più non lo lusingava se non per farne omaggio a lei che già sognava regina.
Ma Tavìne, quando conobbe i sentimenti del dio Benaco, sempre da lui s'allontanava incurante e perfino sprezzante.
Invano Benaco le rivolgeva le più lusinghiere promesse; abbelliva il lido con argentee arene, spargeva di vaghi fiori le onde vicine, supplicava e scongiurava, spinto da un ardore incontenibile.
Tavìne, sempre sdegnosa, rifiutava l'amore del dio Benaco. A ben altro amante ella volgeva già i suoi dolci affetti, ben altro amore albergava già nel suo cuore;; ed era per il suo Cisso, il giovane e bel pastore.
E mentre Benaco, sempre più follemente innamorato, era roso dal tormento e dovunque cercava con gli sguardi la dolce figura dell'amata, Tavìne s'abbandonava e s'inebriava, tra il verde dei prati e le ombre fresche dei boschi, negli amplessi e nei baci del suo Cisso.
Quando Benaco ebbe a conoscere il motivo per cui Tavìne, sprezzante ,lo respingeva, sentì divampare in sé una cieca rabbia che lo rese furibondo e quasi folle. Si pose subito alla ricerca degli amanti giurando di vendicarsi.
Li sorprese, appunto, seduti tra l'erba e i fiori, mentre si bisbigliavano parole d'amore.
A quella vista, reso furente di gelosia, non seppe più contenersi e, balzato d'improvviso su di loro, si rivolse con violenza contro Cisso e con il tridente donatogli dal padre Nettuno trafisse il cuore dell'inerme pastore che giacque esanime sull'erba; indi, gridando come un forsennato e chiedendo agli dei fulmini per Tavìne che fuggiva atterrita, s'inabissò, irato, nelle acque del lago.
La scena si era svolta così fulminea che Tavìne, dapprima, pur sgomenta, non si era resa conto della gravità del tragico accaduto; ma poi, riavutasi dal primo stordimento e vedendo steso sull'erba il suo Cisso, si gettò con grida strazianti sulle misere spoglie: i suoi occhi, prima tanto dolci, ora miravano, vitrei e sbarrati, il viso dello sventurato amante, le sue mani lo accarrezzavano tremanti. Sospinta dalla disperazione, la misera si graffiava il viso, si strappava i capelli e, volendo morire della stessa morte, stava per conficcarsi una lucida lama nel petto. Ma gli dei la videro e n'ebbero pietà; un grave e dolce assopimento le infusero nel corpo e nella mente, i di lei piedi si fissarono al terreno e divennero un tronco d'albero, le braccia si trasformarono in rami sottili e i capelli in verdi ampie verdi fronde ricadenti: e così da ninfa gentile ella fu, a poco a poco, convertita in elegante salice.
E tosto le spoglie, ancora sanguinanti, di Cisso, tutte si consunsero e si tramutarono in verde ramo d'edera che subito s'apprese serpeggiante al novello albero.
In tal modo, come i due amanti furono dall'amore uniti in vita nei giorni felici, così ora, per pietà degli dei, venivano annodati per vivere ancora, eternamente insieme, stretti nelle novelle, verdi sembianze.


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